Da questa settimana per una volta a settimana, cercheremo di dare una spiegazione, ovviamente succinta e non esaustiva, su alcuni temi o termini giuridici che spesso incontriamo leggendo quotidiani o guardando la tv ma di cui non se ne conosce il significato.
Abbiamo letto qualche giorno fa su tutti i giornali (http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/rimborsi-regione-campania/notizie/1243471.shtml) che il sindaco di San Felice a Cancello, Pasquale de Lucia sia stato rinviato a giudizio assieme ad altri sette consiglieri o ex consiglieri regionali su presunte irregolarità sull’erogazione dei rimborsi, insomma per peculato.
Lungi da entrare nella questione, quello che vogliamo fare è dare una spiegazioni, del cosa sia il peculato e cos’è una richiesta di rinvio a giudizio.
Iniziamo dal peculato, espressione derivante dal latino (pecunia) che indica il denaro, per la precisione: sottrazione di denaro. Per peculato oggi si intende non solo il denaro ma qualsiasi cosa mobile.
Allora cosa differenzia questo reato dal furto?
Il peculato non può essere compiuto da tutti, ma da una particolare categoria di persone, cioè il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio, per pubblico ufficiale si deve intendere anche chi concorre con la propria attività a formare quella della pubblica amministrazione. Altra differenza con il furto il fatto che non si ha peculato se il soggetto sottrae qualsiasi cosa, ma solo quello che è nella sua “disponibilità” e, l’oggetto (denaro o cosa mobile), deve appartenere al patrimonio pubblico.
Esempi: Se un assessore sottrae un portafoglio di un cittadino in mezzo alla strada è furto. Se un assessore sottrae una risma di carta da un’edicola è furto. Se un assessore sottrae una risma di carta dagli uffici della Regione è peculato. Se una casalinga sottrae una risma di carta dagli uffici della Regione è furto.
Passiamo al rinvio a giudizio, cosa si intende esattamente con questa espressione e da chi viene disposta e a chi si rinvia?
Il Pubblico Ministero (=P.M.), esercita l’azione penale, quindi quando viene commesso un reato è il P.M. che svolge le indagini e quindi stabilire se vi sono i presupposti per esercitare l’azione penale (il processo).
In questa fase esiste un’altra figura giuridica detta Giudice delle Indagini Preliminari (=G.I.P.) che in pratica controlla il regolare svolgimento delle indagini preliminari, ha una funzione di garanzia.
Quando il P.M. conclude le indagini vuol dire che ha tanto materiale a disposizione da poter sostenere un’accusa in giudizio, ecco perché l’espressione “rinvio a giudizio”. Può accadere che il P.M. può trovare durante le indagini tanto materiale da essere indotto a richiedere non il rinvio a giudizio, ma l’archiviazione.
Ma a chi? Al Giudice dell’Udienza Preliminare (=GUP) si chiama proprio così perché decide alla fine delle indagini preliminari e decide se si va avanti oppure ci si deve fermare. Infatti il GUP alla richiesta del P.M. di un rinvio a giudizio potrebbe decidere che il materiale raccolto dal P.M. sia insufficiente a sostenere un’accusa in giudizio e quindi dispone una sentenza di non luogo a procedere (non si va avanti). Oppure ritiene idonea l’accusa e si va avanti alla fase successiva ed emette decreto di rinvio a giudizio. Ancora il GUP potrebbe ritenere il lavoro del P.M. incompiuto e quindi può disporre una prosecuzione delle indagini.
Ricapitolando: Viene commesso un reato, la polizia o i carabinieri ne hanno notizia, si indaga, il P.M. raccoglie (in genere in sei mesi, ma possono esservi proroghe) tanto materiale accusatorio da richiedere il rinvio a giudizio, l’udienza deve essere fissata entro 5 giorni dalla richiesta, tra il deposito della richiesta di rinvio a giudizio e l’inizio della udienza non devono trascorrere più di 30 giorni, il GUP decide se emettere una sentenza di non luogo a procedere o un decreto di rinvio a giudizio o ancora può stabilire che il P.M prosegua le indagini.