
Ritorna, dopo una lunga pausa, la rubrica letteraria a cura della scrittrice Anna Verlezza, che oltre ad essere brava con le parole è anche una lettrice “compulsiva”, in pratica non legge, divora. Noi non finiremo mai di ringraziarla per la cortesia che ci fa.
Il libro che ci viene presentato ha come titolo: Sette opere di misericordia.
Napoli – giugno 1981 Cristoforo Imparato lavora al cimitero, fa “ ‘o schiattamuort” ( il becchino).
Dopo aver perso un occhio per una granata nel’43 guarda la vita, attraverso quei morti, da orbo.
Per una contrazione naturale che “ la mia lingua” riserva ai nomi nel quotidiano diventa Cristo’ quasi a ricordare il portatore di una salvezza che lui non sente addosso soprattutto in quel mese caldo che, trentotto anni prima, gli ha sottratto la possibilità di vedere il mondo in prospettiva.
È sposato con Luisa , ex commessa di cravatte che ora sembra aver ingoiato la fidanzata di un tempo. Al suo posto c’è una donna sfatta dalle illusioni , sfibrata nel quotidiano da una strana mescolanza di stanchezza per un lavoro di donna ad ore e l’accudimento, oramai obbligo tramandato e dono per lei quasi zitella che ha preso marito già a trent’anni, della famiglia. “ Tengono” due figli: Rita che ultimamente mangia oltremisura perché è solo occupando quanto più spazio nel mondo che il mondo stesso potrà accorgersi di lei; e Nicola che, per uno strano scherzo del destino, soffre di uno strabismo verticale all’occhio speculare a quello del padre. Porta una benda sul quello sano così che sembra Arlocch , un capitano supereroe dei cartoni se non fosse per il fatto che i suoi amici lo hanno tradotto in Allocch (allocco).
In quella estate calda che tutti ricorderanno per un pozzo che ha inghiottito un bambino per una improvvisa fame di umani, ospitano Rosaria, amica di Rita, incinta non sa neppure lei se del suo fidanzato o di quel professore di storia dell’arte venuto a Napoli dal Nord e che la ragazza ha tentato in tutti i modi perché la vera dannazione dell’uomo è non saper resistere alle Eva che sopravvivono dall’inizio delle ere ( personalmente mi piace più la storia di Lilith, ma questa è altra divagazione) e cacciata di casa per “ lo scuorno” ( la vergogna) che ha provocato alla sua famiglia.
E c’è Nino , figlio dei loro compari di nozze, capitato a Napoli per un corso da caldaista. Sono questi due giovani che attenteranno, con la carne fresca, i ricordi di una morte di sentimenti che tarla il nucleo primordiale di ciò che abbiamo vissuto. Attraverso le sette opere di misericordia, si ripercorre la vita dei personaggi, le loro finte conquiste, le loro sconfitte in una Napoli che è dannazione eterna , ma anche Amore allo stato puro perché Catullo ha spiegato bene che i sentimenti di amore e odio si impastano come l’acqua e la farina della pizza senza più la possibilità di essere scisse nuovamente.
La scrittura di Piera Ventre è una nuvola leggera a trama sottile come il tessuto di “pelle d’uovo” con cui è fatta la camicina dei neonati, ma che diventa consistente come l’albume quando lo cuociamo alla “ purgatorio”.
È una scrittura in cui le allegorie ridisegnano le immagini consegnandoci una storia che diventa testamento di esistenze. Ovviamente il mio è stato un viaggio in espressioni lessicali che mi appartengono e che non possono essere tradotte e non per gelosia o avidità linguistica, ma semplicemente perché il napoletano è un idioma da studiare.
E ovviamente il sottofondo sono le parole , le preghiere, le imprecazioni dell’Italia intera di fronte ad una tragedia che la mia generazione non dimenticherà ed anzi porterà nel cuore il santino di Alfredino Rampi come fosse un atto di dichiarazione nel proprio stato di famiglia. Vorrei dire miliardi di altre sensazioni, ma rischierei di immolarlo sull’altare dei bei libri ed invece non merita questo sacrificio perché è molto di più.
ANNA VERLEZZA