Si può crescere serenamente quando ci si ritrova scaraventati nel mondo dei sostantivi che cambiano per adattarsi alla pelle? Pietro è diventato da “ figlio” ad “ orfano di madre”.
Sì, ok, lui una madre ce l’ha ancora perché lei è lì ogni volta che Pietro la chiama e sì, ok può sopportare anche la presenza di Canetto, quel piccolo cane dei sentimenti che arriva insieme ai ricordi e lo azzanna lasciandogli un vuoto nello stomaco, pur di vedere sua madre. Ma lui oramai è orfano per gli altri che non sanno quanto una parola possa far male . Per loro è solo un sostantivo, per Pietro è l’ Universo che gli grida l’ assenza di un corpo.
Pietro e Nina vivono a Milano con il padre che ha appena perso il lavoro così decide di mandare i figli in Basilicata, la terra da cui partirono lui e la moglie prima che questo Stivale di sole e cantori si accartocciasse loro addosso.
I ragazzi arrivano ad Arigliana, in Lucania, dai nonni materni.
Qui riprenderanno un po’ della serenità insieme a quell’aria di grano e terra che li circonda fino a che , durante una partita di pallone in piazza con i suoi amici “estivi”, Pietro scopre, nelle segrete di una torre dove è finito il pallone per una calciata troppo potente, una famiglia di immigrati nascosti lì forse da mesi. I sette, tutti parenti tra di loro, vengono sistemati in paese anche se accettati mal volentieri ( e non è un ossimoro) .
C’è la paura dello straniero, delle malattie, del furto di una identità che non si concepisce come universale e divisibile e che vogliamo tenere solo per noi perché a bloccare non è il razzismo , ma il terrore delle proprie reazioni. Il nonno di Pietro era un ricco possidente eppure anni prima zi’ Rocco gli avvelena i terreni per diventare l’unico produttore di pomodori per conserve.
Gli stranieri iniziano ad amare a tal punto i loro salvatori che propongono a Nononno, come chiama Pietro il nonno, una cooperativa che possa aiutare tutti. A questo punto, ancora una volta il crimine e la corruzione spezzeranno il sogno di riscatto , ma non la crescita di Pietro che oramai è pronto a salutare la mamma e Canetto che tuttavia saranno digeriti dai suoi sentimenti e rimarranno sempre con lui sotto forma del già vissuto.
Finalmente trova anche la risposta alla domanda che aveva posto alla madre il giorno prima che lei morisse e a cui non aveva avuto il tempo di rispondere.
Scritto con una penna semplice che passa e si adatta agli occhi di un dodicenne, questo libro mi sta provocando uno strano rimescolio nella pancia, forse è Canetto venuto a conoscermi. Rocco Papaleo una volta disse :” La Basilicata è un atto di fede” , in questo libro dal sole lucano troverete anche speranza e carità.
Anna Verlezza