L’acqua: due “SI”!
Il 12 e 13 giugno si voterà finalmente per i referendum, se non fosse per il tam tam mediatico di internet probabilmente niente sapremmo dei quesiti referendari. La consultazione referendaria è considerata importante, per il futuro delle politiche energetiche e socio-economiche, per il cantante Adriano Celentano è in gioco il futuro dei nostri figli, ma anche in ballo è la tenuta del governo già fortemente debilitato per la forte batosta alle ultime consultazioni provinciali e comunali in cui si sono espressi 15 milioni di cittadini.
Per il referendum ci vogliono un 10 milioni e più ancora per la validità dei referendum. Analizzeremo i quesiti referendari partendo dalle ragioni del no, chi scrive comunque è un forte sostenitore del sì per tutti e quattro i referendum, quindi non sarà ovviamente un giudizio obiettivo ma veritiero certamente.
Partiamo dai due quesiti sull’acqua innanzitutto bisogna però liberare la mente da certa faziosa ideologia ovvero le equazioni: pubblico=pessimo, privato=efficiente, non è così, almeno non sempre e sull’acqua certamente non lo è.
Innanzitutto i sostenitori del “no” ritengono che gli acquedotti pubblici siano inefficienti e quindi perdano acqua letteralmente, una gestione privata più oculata eviterebbe tale spreco. Risposta del “sì”, secondo dati Mediobanca, il peggiore acquedotto, quello che perde più acqua è quello di Roma, che appartiene ad Acea società quotata in borsa i cui soci sono: comune Roma, Caltagirone e Suez, il più efficiente è quello di Milano al 100% pubblico. Altra posizione del “no” sono i costi, si parla di 64 miliardi di euro in 30 anni che solo i privati potrebbero sostenere per la manutenzione e l’ammodernamento, permettendo il risparmio di soldi pubblici, ecco questa è una falsità in quanto i costi graveranno sulle bollette, oltre i normali costi di manutenzione ed ammodernamento avremo anche il costo degli utili che spettano all’imprenditore, così come assicurato dalla legge.
Ma da quando la legge Ronchi è in vigore e quindi in quelle città ove i privati hanno in mano l’acqua, come sta andando? Ebbene davvero male! Citadinanzattiva ci fa sapere che a Viterbo dal 2008 la bolletta ha avuto un incremento del +52%, Treviso +44%, Palermo +34%, Ragusa, Parma, Massa e Carrara +20% Venezia, Udine e Asti +25%, solo per fare qualche esempio. La cosa curiosa è che ci si imbatte in differenze tariffarie in città della stessa regione, ad esempio a Firenze l’acqua costa 185€ in più che a Lucca ad Agrigento 232€ in più rispetto Catania.
Il problema grosso delle leggi che si vogliono giustamente abrogare non è quello di creare un privato che concorra con il pubblico o con altri privati, ma bensì due odiosi obblighi, quello del gestore pubblico di cedere la sua parte in tempi brevi anche lì dove è efficiente e l’obbligo al cittadino di garantire all’imprenditore un guadagno anche in presenza di un pessimo servizio.
Ma perché i privati si buttano così a capofitto nell’acqua? Basta leggere qualche dato per rendersene conto in base ad una statistica europea il 44% di tutta l’acqua europea serve per produrre energia, il 24% agricoltura, 21% approvvigionamento idrico, 11% industria, teniamo conto che nel 2025 queste percentuali aumenteranno del 25%.
Ma gli altri paesi europei come fanno con l’acqua? Analizzando il paese più vicino la Francia ci accorgiamo che la privatizzazione va avanti da anni, dal1985 a Parigi l’acqua è in mano a società miste, tant’è che il 72% dei francesi beve acqua fornita da privati, ma nell’ultimo decennio le cose hanno subito un’inversione di tendenza il 50% dei comuni francesi dal2000 ha abbandonato i privati ed è tornato in mano pubblica, tra cui la stessa Parigi nel 2009 non ha rinnovato il contratto a Veoila e Suez e lo stesso stanno facendo Tolosa, Bordeaux, Lione ed il bello che questo è un sentimento bipartisan.