RUBRICA STORICA: LA SCARSA CIRCOLAZIONE LIBRARIA DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
Alfredo Ferrara
Pubblicato il 15 Dicembre 2019
MANCANO 7 GIORNI AL PUNGIGLIONE D’ORO
Ritorniamo alla nostra rubrica storica per svelare o rivelare la vera Storia del Sud. Sempre accompagnati in questo viaggio dal ricercatore Marco Vigna, stavolta ci occupiamo di un elemento forse un po’ troppo trascurato, ovvero la lotta borbonica alla cultura.

Ma ecco il testo del “nostro” Vigna:
Uno scienziato, scrivendo da Milano nel 1845 su di una rivista scientifica, annotava quanto segue: «Si è più volte mosso lamento intorno alla scarsità di notizie bibliografiche che in questa parte d’Italia giungono dal regno delle Due Sicilie. […] Le dogane del regno Lombardo-Veneto esigono austr. lire 26,8o (circa 22 franchi) per ogni 100 chilogrammi in peso di libri stampati; in quelle del regno delle Due Sicilie il dazio d’entrata è portato a tre carlini, quasi franchi 1,50, per ogni tomo in ottavo indistintamente qualunque sia il suo volume ed il suo peso. Talché un libro, per esempio, di 6 in 7 fogli di stampa mentre, introdotto nel regno Lombardo-Veneto, pagherebbe franchi 0,03; per entrare nel regno delle Due Sicilie importerebbe franchi 1,50: vale a dire una tassa cinquanta volte maggiore di quella si paga fra noi. Si dica presso a poco lo stesso per gli altri Stati d’Italia rispetto a Napoli ed alle sue province. Se dunque a noi converrebbe trasmettere dei libri nelle Due Sicilie ed averne in concambio altri colà stampati; i librai di Napoli, pel dazio enorme d’entrata, non trovano del loro interesse a riceverne dal regno Lombardo-Veneto. Pei pochi libri poi che ci vengono ricercati da Napoli e da Palermo a malgrado del dazio, da cui sono aggravati, perché il libraio ne ha già assicurato lo smercio, non può farsi l’acquisto che a denaro contante. Imperciocché, trattandosi di pochi articoli scelti, non conviene al venditore il commercio per cambio con libri che a lui non sono ricercati; d’altronde, limitandosi la spedizione a piccoli pacchi, gravoso oltre misura ne riesce il trasporto, e quindi ancor più grande deve essere lo sconto che si deve fare al libraio acquirente per compensare in parte la maggior spesa di trasporto e l’altra gravissima del dazio.» [«Annali di fisica, chimica e matematiche coi bollettini di farmacia e tecnologia», Volume XX, quarto trimestre 1845, pp. 123-124] Insomma, il regno delle Due Sicilie aveva imposto dazi doganali sui libri (sui libri!) che erano 50 volte (cinquanta volte) quelli esistenti negli altri stati italiani preunitari. Il risultato era una scarsissima circolazione libraria, dal regno verso l’esterno e dall’esterno verso il regno, perché i costi erano eccessivi. Quanto veniva stampato nel reame, difficilmente era letto al di fuori di esso. Peggio ancora, quello che era stampato nel resto d’Italia e d’Europa arrivava poco all’interno dello stato borbonico. Vi era infine un’altra conseguenza: i libri avevano in questo modo pressi esorbitanti e soltanto i benestanti potevano permettersi d’acquistarli. La cultura diveniva così un bene di lusso, riservato a pochissimi. Scrive Vincenzo Cataldo: «I dazi nella stragrande maggior parte dei casi colpivano i più indigenti. Perfino sui libri vi era una smoderata imposta per impedire una potenziale acculturazione; nessuna tassa invece sui servi, sulle carrozze, sui cavalli, sui beni usati dai più ricchi» [Vincenzo Cataldo, Cospirazioni, economia e società nel distretto di Gerace e in provincia Calabria Ultra Prima dal 1847 all’Unità d’Italia.] Il governo borbonico cercava quindi sia d’evitare la circolazione d’idee provenienti da altri paesi, su cui esso non aveva controllo, sia di limitare l’acculturazione e l’istruzione fra i suoi sudditi.