Pensiamo proprio di farci un bel regalo oggi con questa precisa e omnicomprensiva disamina delle ragioni del NO che Agostino Morgillo ci ha donato. Un articolo lungo, dotto, appassionato da chi davvero ha a cuore le sorti del suo Paese minacciato. Agostino non ha bisogno di presentazioni particolari, in Santa Maria a Vico è un’istituzione, già consigliere comunale, è presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Questo l’articolo inviatoci. VOTA NO:

Innanzitutto sento di ringraziare Alfredo Ferrara per la sensibilità dimostrata nei confronti del referendum costituzionale che si terrà il prossimo 20 e 21 settembre e per il confronto ricercato testardamente sul tema.

Permettetemi di iniziare questo modestissimo contributo con una questione lessicale. Dappertutto sentiamo parlare e leggiamo, anche nei testi ufficiali, di referendum popolare confermativo. La nostra Costituzione stabilisce che nel caso in cui le Camere approvino una legge di riforma costituzionale a maggioranza assoluta dei loro componenti, 1/5 dei membri di ciascuna camera, o 5 regioni o 500.000 elettori possono chiedere di sottoporre la riforma al voto dei cittadini. La scelta definitiva in questi casi, quindi, spetta a noi cittadini. I promotori del referendum sono coloro che evidentemente intendono contrastare la riforma e per tale motivo richiedono l’intervento dei cittadini.
Originariamente lo strumento del referendum costituzionale ha, quindi, natura oppositiva. La politica politicante ha, negli anni, prodotto pasticci lessicali.
Ritengo scorretto, da un punto di vista costituzionale, qualificare in qualsiasi modo uno strumento così importante, soprattutto da parte del Governo.
Definire il referendum, qualificarlo in qualsiasi modo (confermativo/oppositivo) può orientare gli elettori.
I rappresentanti istituzionali che cedono a questa tentazione (ormai un’abitudine), a mio parere, commettono un errore, non dando un buon esempio in termini di rispetto delle regole.
La libertà degli elettori deve essere rispettata anche nell’uso accorto del linguaggio.

Dopo questa digressione passerò al merito, o almeno ci proverò, della questione referendaria. Mi scuso in anticipo per l’intervento non breve, ma la complessità e l’importanza dell’argomento richiedono il giusto approfondimento. 

Nel caso in cui dovesse vincere il sì, la nostra Carta costituzionale subirebbe un grave vulnus, uno sfregio importante le cui conseguenze andrebbero a colpire, innanzitutto, il concetto di democrazia fondata sulla rappresentanza.
 L’Art. 1 della Costituzione stabilisce che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Gli italiani votano i parlamentari proprio per esercitare quella rappresentanza.
Il numero dei parlamentari deve essere giusto, congruo, proporzionato rispetto al numero degli italiani che devono rappresentare.  
L’incomprensibile taglio lineare previsto da questa riforma andrà ad incidere inevitabilmente e pesantemente sul diritto degli italiani di vedere rappresentate giustamente ed in maniera appropriata le loro richieste all’interno delle Istituzioni nazionali. 
Siamo di fronte ad un attacco qualunquista, populista, demagogico e violento alla centralità ed alla funzionalità del Parlamento. Soprattutto da parte di coloro che hanno sempre preferito le piattaforme informatiche private per esercitare il loro peculiare concetto di “democrazia”.  
Quello su cui siamo chiamati ad esprimerci rappresenta la fase finale di un processo di delegittimazione del Parlamento e delle Istituzioni repubblicane. Non dimentichiamo, infatti, che sono state già depositate due proposte legislative che vanno in tal senso: una relativa al referendum propositivo (svuotamento e superamento del Parlamento quale sede delle decisioni) e l’altra relativa al mandato imperativo (il parlamentare non rappresenterebbe più la Nazione come stabilito dall’art. 67 della Costituzione, ma  un partito, dal quale dipenderebbe ed al quale dovrebbe ciecamente ubbidire). 
Questa slegata e raffazzonata riforma – attraverso i concetti dell’efficienza e del risparmio – strizza l’occhio all’antipolitica solleticando i peggiori istinti dei nostri concittadini, cavalcando ed approfittando delle frustrazioni, dei disagi, delle difficoltà sociali ed economici sempre più diffusi all’interno della nostra società. Una riforma che taglia per tagliare, taglia per punire aizzando e sobillando i cittadini contro la Camera ed il Senato, senza alcun riguardo per gli equilibri tra le diverse Istituzioni, senza ragionare sulle regole del loro funzionamento, sui regolamenti delle Camere, sulla selezione di rappresentanti politici più adeguati al loro ruolo e funzione. 
Non funziona tutto come dovrebbe e come necessiterebbe, intendiamoci. Non c’è alcuna giustificazione ad un’ipotesi di riforma del genere che, alla fine sacrificherà, punirà ed indebolirà i cittadini elettori e non gli “eletti”.

Chi può dimostrare l’assioma per cui meno parlamentari significhi automaticamente e sicuramente parlamentari migliori (soprattutto con la legge elettorale in vigore)? 
Analizziamo il rapporto tra parlamentari e cittadini.
E’ facilmente comprensibile come vi siano meno rappresentati quanto più questo rapporto è alto. Ognuno dei parlamentari deve, infatti, rappresentare più cittadini. Per questo motivo, dall’anno di entrata in funzione della Camera dei deputati così come la conosciamo oggi, vale a dire il 1919, il numero dei deputati è sempre cresciuto (tranne che nelle due legislature elette durante il regime fascista, in cui il numero dei deputati fu ridimensionato a 400). Con la legge costituzionale n. 2 del 1963 è stato introdotto il numero fisso di deputati e senatori rispettivamente pari a 630 e 315, laddove nella precedente formulazione approvata dall’Assemblea Costituente il numero dei parlamentari era mobile, restando fisso il rapporto con la popolazione. Il testo originario della Costituzione prevedeva infatti, per la Camera, un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazioni superiori a 40.000); per il Senato, un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazioni superiori a 100.000). Chi ha scritto la Costituzione si era posto, già allora, l’obiettivo di determinare una rappresentanza quanto più ampia, plurale e forte possibile rispetto agli anni della dittatura e di non contribuire a creare più le condizioni tese allo svuotamento delle istituzioni rappresentative, alla privazione della stima, del credito delle stesse, rendendo impossibile o difficile l’esercizio delle loro funzioni.
L’intenzione dei padri e delle madri costituenti era quella di realizzare una rappresentanza incrementale, che, nel tempo, tenesse presente e prendesse in considerazione la crescita della società, da tutti i punti di vista non solo demografici.
I riformatori di oggi, o sedicenti tali, anziché consolidare e rafforzare la rappresentanza politica e territoriale dei cittadini, la tagliano sbattendo fuori dalle Istituzioni centrali interi pezzi di cittadinanza con le relative istanze.  In rapporto alla popolazione, oggi vi è un deputato ogni 96.000 abitanti circa e un senatore ogni 192.000 abitanti circa.
A 57 anni dalla riforma costituzionale di cui sopra, il rapporto tra elettori ed eletti è rimasto sostanzialmente uguale: è un po’ aumentato alla Camera, dove oggi abbiamo un deputato ogni 96mila abitanti ed è un po’ diminuito al Senato, dove abbiamo oggi un senatore ogni 192mila abitanti. Se la riforma sottoposta a referendum passasse, queste proporzioni verrebbero calpestate, stracciate. 

Se ci guardiano intorno, prendendo come riferimento solo le camere elette (alla Camera dei Lord si accede, per esempio, non per elezione da parte del popolo) noteremo che l’Italia è uno dei paesi con maggiore rappresentatività. Per esempio, in Francia e Germania un deputato eletto rappresenta 116.000 cittadini, in Spagna ben 133.000 rispetto ai 96.000 abitanti rappresentati in Italia.
Non è vero, quindi, che la riforma ci porterebbe a livelli europei in quanto avremmo, con 230 deputati in meno, un deputato eletto ogni 151.000 cittadini. L’Italia diventerebbe, nell’ambito dell’Unione europea, il paese con la rappresentatività più bassa. Inoltre con 196 senatori – quattro sono destinati a essere eletti all’estero – da distribuire nelle venti regioni (quote minime di un senatore in Valle d’Aosta e due in Molise) il taglio in termini di rappresentanza sarà molto significativo anche se gli effetti non saranno uguali per tutte le regioni. Rispetto ad una media nazionale del 36,5%, per esempio, la Toscana subirà un taglio del 33% (pari a 6 senatori) mentre il Friuli subirà una decurtazione del 43% (pari a 3 senatori). Questa riforma ci restituirà un paese ancora più diseguale con una regione come il Trentino dove avremo un eletto ogni 170.000 abitanti e la Sardegna con un eletto ogni 327.000 abitanti incidendo, in questo modo, fortemente anche sulla rappresentanza politica, con la penalizzazione delle liste meno forti. 
Nella proposta di legge elettorale all’esame della Camera la soglia di sbarramento è fissata al 5%. In realtà la soglia è molto più alta proprio perché gli eletti nel collegio sono molto pochi. Il problema si pone soprattutto al Senato perché i senatori vengono eletti su base regionale. In Basilicata, per esempio, dove dovranno essere eletti solo 3 senatori, in realtà vigerà una soglia di sbarramento reale che sfiora il 20%. Stando ai sondaggi  di questi giorni soltanto 2 partiti supererebbero tale soglia. I partiti piccoli resteranno fuori dal Parlamento, con grave ed incalcolabile danno per la democrazia.

Questo sacrificio in termini di rappresentanza territoriale e politica non porterà nemmeno ad un migliore funzionamento del Parlamento, ad una maggiore efficienza dello stesso. Innanzitutto è tutta da dimostrare la tesi per la quale un Parlamento efficiente sia quello che produce più leggi. E’ il governo che detta l’agenda ed i tempi dei lavori parlamentari (vedasi, per es., decreti legge). Ed anche qui niente di nuovo sotto il sole, anche questo è un problema “antico”. Il problema del rapporto tra potere esecutivo (Governo) e  potere legislativo (Camera e Senato) rimarrà tale, la riforma non comporterà alcun giovamento a questa vexata questio.
E non poteva essere diversamente perché questa riforma populista e demagogica è stata concepita ed è stata alimentata solo da un chiaro scopo antiparlamentare; è stata pensata solo per colpire un’Istituzione considerata come un costo improduttivo, dimostrando in questo modo tutta la scarsa e superficiale cultura democratica dei presunti e sedicenti riformatori. Chi può sostenere che Camera e Senato non possano lavorare contemporaneamente su progetti di legge diversi? 

La riforma impatterà in maniera negativa anche sul lavoro delle Commissioni. I regolamenti, infatti, prevedono la presenza di appena 9 deputati o 5 senatori per garantire il normale funzionamento delle commissioni. Non saranno pochini rispetto alla delicatezza ed importanza del compito da assolvere? La prova provata che la riforma abbia solo un intento “punitivo” nei confronti del Parlamento è nel non aver previsto un aggiornamento degli attuali regolamenti parlamentari, pensati e scritti per 630 deputati e 315 senatori! Le soglie, originariamente pensate per tutelare le minoranze, secondo i promotori della riforma, possono essere le stesse anche se il numero dei deputati scende a 400 e quello dei senatori a 200!
Le minoranze, in questo modo, saranno penalizzate, discriminate, spinte fuori dai luoghi della democrazia. I partiti più piccoli incontreranno serie difficoltà, per esempio, a formare un Gruppo parlamentare, ad entrare nelle Commissioni, nelle Giunte. 

A proposito di rappresentanza, giusto un accenno ai parlamentari eletti all’estero. La legge attuale prevede un sistema proporzionale con l’indicazione della preferenza per eleggere 12 deputati e 6 senatori nelle circoscrizioni Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale, Africa, Asia, Oceania ed Antartide. Il taglio dei parlamentari previsto dalla riforma riguarda anche i rappresentanti esteri. Si passerà, infatti, da 12 a 6 deputati e da 8 a 4 senatori con il risultato che la circoscrizione più piccola (molto più piccola, vale a dire Africa, Asia, Oceania ed Antartide) avrà un deputato tre volte più rappresentativo rispetto a quello della circoscrizione più grande (molto più grande, vale a dire Europa). Per quanto riguarda i senatori, la riforma riesce a fare peggio. Infatti, toccherà un senatore ad ogni circoscrizione, indipendentemente dalla sua grandezza e con buona pace per il sistema proporzionale previsto dalla legge in quanto i collegi saranno di fatto collegi uninominali.  

Con tutto ciò che accade quotidianamente in questo Paese, con tutti gli esperti nominati (e pagati) dagli ultimi governi per “razionalizzare” la spesa pubblica, parlare di risparmi riferendosi alla democrazia parlamentare mi fa proprio trasecolare ed è questo il motivo per cui, solo alla fine dell’intervento, toccherò l’argomento principe di coloro che hanno ideato questa riforma sghemba: i “risparmi” derivanti dal taglio dei parlamentari.
I rappresentanti di un partito di governo ripetono incessantemente, come un mantra, che la riforma avrà come risultato “– 345 poltrone + 1 miliardo per i cittadini”.
Se andiamo a consultare i bilanci di Camera e Senato potrebbero verificare i deputati in meno farebbero “risparmiare” circa 53 milioni mentre i senatori circa 29 milioni, arrotondati per eccesso (es. Camera: 145.000.000 : 630 deputati = 230.159 X 230 deputati in meno = 52.937.000). Stando così le cose, sarebbero necessari più di 12 anni per ottenere un risparmio di 1 miliardo di euro.
Il calcolo appena eseguito, però, non è corretto perché non tiene conto dei soldi che lo Stato recupera attraverso le tasse che i deputati ed i senatori pagano (p. es. Irpef). Dobbiamo considerare circa 10 milioni per i deputati e circa sei milioni per i senatori. Il “risparmio” sarebbe di circa 43 milioni per i deputati e circa 23 milioni per i senatori: 66 milioni all’anno. Per ottenere, allora, un risparmio di 1 miliardo di euro, occorrerebbero più di 15 anni. Il calcolo, però, continua a non essere corretto. Infatti, una parte dei soldi di deputati e senatori sono destinati agli stipendi degli assistenti. Il “risparmio” vero e proprio sarebbe, quindi, di circa 36 milioni per i deputati e circa 17 milioni per i senatori: 53 milioni all’anno.
In realtà, per ottenere il “risparmio” tanto strombazzato di 1 miliardo di euro, occorrerebbero quasi 19 anni. A partire dalla prossima legislatura, s’intende. Teniamo presente che le cifre di cui sopra rappresentano appena il 2,5% delle spese annuali delle due Camere e lo 0,007% circa della spesa pubblica italiana, quasi un euro per ognuno di noi, in cambio di un bella sforbiciata alla rappresentanza parlamentare, alla democrazia parlamentare.

Questa riforma, secondo me, è da rigettare in toto. Gli ideatori non hanno previsto alcun sistema di contrappesi, non hanno provveduto ad approvare una nuova legge elettorale per apportare adeguati e necessari correttivi, non hanno provveduto a modificare i regolamenti parlamentari. E’ tutto un faremo, vedremo.

I sostenitori di questa riforma, per quello che hanno scritto e soprattutto per quello che avrebbero potuto scrivere e non hanno scritto, invece di abbattere la c.d. casta – come vanno proclamando a destra e a manca – la rafforzeranno. Rafforzeranno i partiti più grandi le cui segreterie già oggi, grazie al sistema elettorale vigente, scelgono come candidati gli uomini e le donne più fedeli da mettere in posizione utile per essere eletti, alla faccia dei territori e della loro rappresentanza. Ci ritroveremo di fronte ad una vera e propria oligarchia partitica (3 o 4 al massimo). In questo modo si rende più agevole la strada per un’architettura parlamentare autoritaria che preferisce l’uomo forte al comando, “figura” che sugli italiani da sempre ha esercitato ed esercita un certo fascino. Le elezioni non servono per “investire” Tizio o Caio, non siamo chiamati ad eleggere un Parlamento organo della maggioranza. Il Parlamento è e deve rimanere la sede della rappresentanza, sede di controllo ed indirizzo non l’organo che ratifica passivamente e acriticamente le decisioni della maggioranza. La nostra Costituzione non prevede tutto questo.

Questa riforma spalanca le porte ad una “democrazia” della maggioranza. I pochissimi che rappresenteranno una minoranza degli italiani potrebbero stravolgere i principi della Costituzione, anche aprendo la strada a derive presidenzialiste, oltre a scegliersi il Presidente della Repubblica, ad eleggersi i membri del Csm, ecc. (ri)Leggiamo le proposte di legge della destra e teniamo a mente. Fateci caso, quando qualcuno si pone l’obiettivo di circoscrivere, ridurre l’importanza di un qualsiasi istituzione rappresentativa, inizia sempre proponendo il taglio del numero dei suoi componenti.     

Attenzione a considerare la democrazia come qualcosa di scontato!