Gutta cavat lapidem. Sappiamo benissimo che il sì al referendum il 20-21 settembre sarà vincente, ma noi riteniamo che la via per la democrazia sia data dal NO e crediamo che non sia sbagliato parlarne e magari a furia di parlare e di ragionare si arrivi anche a convincere qualche indeciso sulla bontà delle motivazioni.

Ringraziamo il giornalista Aniello Renga (giornalenews.it / Il Mattino) per il contributo che ha voluto lasciare su questa importante tematica che come ben ha definito da subito è proprio un falso problema, il classico guardare al dito.

Eccoci al referendum del falso problema: il numero dei parlamentari. La quantità e non la qualità; ma questo è un discorso diverso, in fondo «Ogni popolo ha il governo che merita» (Joseph de Maistre). In linea di principio, se fosse un vero risparmio chi non vorrebbe votare sì. Hanno tagliato ogni cosa che riguarda la sanità, l’assistenza, i servizi per noi comuni mortali, è arrivato il momento che tirino la cinghia anche i politici italiani. Ma sarà proprio così? Ovviamente no. Ridurre di 230 unità la Camera dei Deputati e 115 il Senato della Repubblica avrà un risparmio potenziale di 53 milioni di euro per i Deputati e 29 per i Senatori, ma gli altri eletti manterranno tutte le indennità e i benefits attuali che ammontano a 230 mila euro a deputato per anno e 250 mila per ogni senatore.
Dicono, i fautori della legge costituzionale, che l’Italia ha il rapporto più alto tra eletti ed elettori: 1 ogni 64 mila abitanti, mentre per il resto d’Europa si scende a quasi la metà. Poi a conti fatti però anche dopo la riforma l’Italia avrebbe un rapporto tra eletti e abitanti (1 ogni 100 mila) superiore a Germania (1/117 mila) e Francia (1/116 mila).

Sarà una rappresentanza più democratica?
A determinarlo non sarà mai il numero dei parlamentari, ma il sistema elettorale di cui ci si doterà. È questo il vero nodo; nella democraticissima Germania il primo mandato alla Merkel è stato il frutto della Grande Coalizione, perché proprio come in Italia l’esito delle urne non consentì di stabilire vincitori e vinti. La differenza è che i tedeschi non hanno gridato allo scandalo. In Italia l’attuale legge elettorale è un compromesso che andrà necessariamente rivisto a partire dalla composizione dei collegi sul territorio; una legge che va rivista a prescindere dal voto referendario. Anche perché è chiaro che se per ogni elettore deve esserci un rappresentante, nulla più di un ritorno al proporzionale puro potrà garantirlo; e siccome l’Italia è una Repubblica Parlamentare, sarà poi in parlamento che andrà valutata la maggioranza. Ma anche in questo caso avremo raggiunto il vero risultato di un parlamento che lavori e funzioni? Certo che no. Se il sistema per la produzione legislativa e il funzionamento dei due rami del parlamento resta lo stesso, nulla cambierà col sì o col no al referendum, con un cambio della legge elettorale o con una maggioranza di governo stabile per l’intera legislatura. Il bicameralismo perfetto altro non è stato che garantire uno scranno, in sede Costituente, alle famiglie potenti ed influenti del Regno. E sì, perché il Senato del Regno era di nomina regia e sarebbe stato più che normale, usciti da una guerra che ha messo da parte la Monarchia, che i padri costituenti avessero scelto un monocameralismo con la sola Camera dei Deputati. A tutt’oggi, in realtà, il legislatore italiano prima di disciplinare su qualsiasi materia deve passare per ben quattro letture tra Camera e Senato, se uno o se l’altro ramo del parlamento appone modifiche. Cambierà col referendum? No. Certo oggi che il Presidente del Consiglio sceglie lo strumento del motu proprio (Dpcm) anche quando può riunire le camere, la dice lunga su come il governo per accelerare la tempistica legifera d’imperio. Altro che democrazia parlamentare.
Ma è lo stesso strumento del referendum costituzionale ad essere particolare. Non c’è bisogno del quorum, per questo nessuno ci inviterà ad andare al mare come succedeva nelle stagioni referendarie quando ci veniva richiesto di voler abrogare questa o quella legge. Anche una minima minoranza di coloro che andranno a votare decideranno per l’intero Paese.
E allora proprio per non rinunciare al diritto decisionale bisogna recarsi alle urne e ritirare anche la scheda referendaria. La scelta del voto, invece, potrà essere l’occasione di mandare un messaggio a chi governa così come il referendum del 2016. Il NO al referendum ha questo senso: non interessa la quantità, ma la qualità.

Parafrasando de Tocqueville: non è importante l’uomo che lasci cadere ogni mattina dal letto, ma la scheda che lasci cadere nell’urna elettorale. Ogni volta che si è chiamati al voto, soprattutto tra poco, tra referendum ed amministrative, fino alle regionali.