Riprendiamo la nostra rubrica storica, per portar luce ove vi è oscurità e donare ai meridionali la verità dimenticata, lo facciamo come sempre grazie al contributo del dott. Marco Vigna che ancora una volta ci dona una chicca, infatti i denigratori di professioni che per motivi politici attaccano il risorgimento e tutto ciò che riguarda l’immediato post unità ricevono qui il ben servito.

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Ma lasciamo che sia il dottor Vigna stesso a parlarne:

Ricorre con relativa frequenza nella storiografia dilettantistica o nella pubblicistica il richiamo a quanto ebbe a scrivere Francesco Saverio Nitti in un suo saggio pubblicato nell’anno 1900, “Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-1897”, ripubblicato successivamente in “Scritti sulla questione meridionale”. Ciò che asseriva il Nitti è noto, cosicché non è necessario riprenderlo per esteso: in pratica egli sosteneva che il Mezzogiorno fosse stato svantaggiato dalle politiche economiche dello stato italiano per quasi un quarantennio, versando in tasse ed imposte più di quanto ricevesse come investimenti ed in generale risorse.

Questa ipotesi era il cardine di quella, più ampia ed articolata, secondo cui la causa principale del dualismo economico nord/sud sarebbe stato proprio il drenaggio di risorse finanziarie dal mezzogiorno al settentrione.

Il sociologo, economista e statistico Corrado Gini, conosciuto in tutto il mondo per il suo “coefficiente di Gini” tutt’ora utilizzato per misurare le disuguaglianze socio-economiche, analizzò l’ipotesi di Nitti nel suo saggio “L’ammontare e la composizione della ricchezza delle nazioni”, pubblicato nel 1910. Il Gini esaminò e smontò, pezzo a pezzo e con argomentazioni serrate di ordine matematico, quanto aveva sostenuto il Nitti.

Questo illustre statistico ebbe modo di provare inoltre che lo scritto dell’importante politico e storico meridionalista era stato viziato da manipolazioni, per non dire falsificazioni. In ogni caso, il Gini poteva concludere che, dati statistici alla mano, il Mezzogiorno non aveva ricevuto dallo stato meno di quanto avesse versato nel periodo 1862-1897, anzi era avvenuto il contrario.

Quanto sostenuto sul punto suddetto ne “L’ammontare e la composizione della ricchezza delle nazioni” non ricevette nessuna replica o contestazione, neppure dal Nitti stesso. Di fatto, chiuse la questione per quanto riguardava la distribuzione regionale delle risorse dello stato italiano nel suo primo quarantennio di vita.

A distanza di oltre un secolo, si ritrovano però persone che riprendono i contenuti de “Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-1897”, ignorando del tutto il successivo studio del Gini del 1910. Zitara ad esempio, che è stato il tramite fra divulgatori puri e semplici quale Aprile o Del Boca ed il dibattito fra Nitti e Gini, si limita ad osservare in modo sibillino (in “L’Unità d’Italia: nascita di una colonia”) che gli è difficile stabilire chi fra i due avesse ragione, perché l’argomento non è più stato ripreso da specialisti di storia delle finanze (sic!).

Questo pubblicista gramsciano non si rendeva conto, o fingeva di non rendersi conto, che nessuno aveva più esaminato di nuovo la questione poiché il Gini aveva detto la parola definitiva, giacché i dati ed i calcoli da egli presentati erano incontestabili e difatti sono rimasti da allora incontestati. Il Gini, nonostante sia pochissimo conosciuto al di fuori delle università, è stato un personaggio di rilievo internazionale ed uno dei più importanti, se non il principale in assoluto, fra tutti gli studiosi italiani di statistica. Sono rilevanti anche i suoi contributi alla sociologia ed alla demografia. Il suo famoso indice sulla ripartizione del reddito, soprannominato appunto “Indice di Gini” o “coefficiente di Gini”, è impiegato da studiosi di tutto il mondo.